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Deutsche Wirtschafts Nachrichten: Si stima che nelle acque a sud di Cipro si trovano immensi giacimenti di gas naturale. Frattanto, è nato il progetto EastMed, pipeline ancora da costruire. L’estrazione di tale gas potrebbe comportare l’incremento delle tensioni tra la Turchia e la Grecia ed altri paesi ancora? In particolare, quali sono le prospettive di questo progetto?
Demostenes Floros: Innanzitutto, è opportuno precisare che stiamo parlando di una serie di giacimenti che si collocano nel Mediterraneo Sud-Orientale (Aphrodite, Leviathan, Tamar, tanto per citare i principali), i quali si estendono tra le acque territoriali di diversi paesi, a partire da quelle di Cipro e Israele, ma non solo.
Si stima che la pipeline sottomarina EastMed potrebbe essere costruita in un arco temporale di 4/5 anni, costerebbe non meno di 6 miliardi di €, per una capacità di trasporto massima di 12 Gmc3 annui di gas naturale in direzione della Grecia e dell’Italia (secondo Eurogas, i consumi 2017 dell’Ue-28 raggiungeranno i 489 Gmc3). L’opera dovrebbe essere realizzato dalla società Edison (controllata dalla francese Edf), in collaborazione con la società greca Depa.
A mio avviso, al momento, sussistono diversi problemi che rendono la realizzazione dell’opera assai complicata, anche se non del tutto impossibile.
Da un punto di vista geopolitico, è doveroso porre in evidenza il fatto che una parte del gas verrebbe estratto da giacimenti collocati a pochi km dalle coste della Striscia di Gaza quindi, della Palestina. Inoltre, esistono forti contese in merito allo sfruttamento delle risorse che si trovano tra le acque territoriali del Libano Meridionale (politicamente controllato da Hezbollah) e di Israele, ma anche tra la stessa Cipro e Israele. Se a questa situazione si aggiunge che la Turchia non fa mistero di avere messo gli occhi sul gas cipriota, visto l’invio di una nave oceanografica a ridosso delle acque greche e una serie di esercitazioni militari dentro le acque di Cipro (ZEE-Zona Economica Esclusiva), ne consegue un contesto politico gravido di tensioni che vanno dall’irrisolta questione cipriota del lontano 1974, sino agli effetti dell’odierna guerra in Siria.
Inoltre, da un punto di vista economico-produttivo, i costi per la costruzione della pipeline – sulla carta, la più lunga al mondo – potrebbero essere proibitivi con il fondato rischio che il prezzo di vendita della materia prima al consumatore finale europeo risulti essere fuori mercato. Ad esempio, tenuto conto della profondità del Mare Mediterraneo Sud-Orientale, una sola trivellazione potrebbe costare fino a 70 milioni $. E ancora, l’immenso giacimento egiziano di Zohr scoperto da ENI nel 2015 (con riserve stimate in 850 Gmc3) servirà principalmente a soddisfare i consumi crescenti dell’Egitto.
In merito esportazione, potrebbe invece avere maggiore successo una sorta di small scale LNG oppure il gas naturale compresso in volumi limitati dal momento che le tecnologie esistono e gli investimenti non sono eccessivamente onerosi. Detto ciò, senza dubbio, israeliani, ciprioti, ma anche egiziani, potranno rafforzare la propria autosufficienza energetica, finanche a sostituire una parte dei prodotti petroliferi utilizzati nella produzione elettrica con il cosiddetto „oro blu”.
Deutsche Wirtschafts Nachrichten: In merito ad altri giacimenti/fornitori, l’ex Commissario all’Energia dell’Ue, Günther Öttinger, suggerì di importare più gas naturale dall’Azerbaijan: trattasi di un’idea ancora valida?
Demostenes Floros: Nel corso degli ultimi anni, alcune tra le elite di Bruxelles hanno ritenuto di poter sostituire, anche parzialmente, le forniture russe con quelle azere. A dicembre 2013, in una intervista rilasciata al quotidiano italiano Il Sole 24 Ore, l’allora Commissario Ue all’Energia, Gunther Oettinger (quello dello scandalo Dieselgate), ebbe modo di affermare che con il lancio del TAP (Trans Adriatic Pipeline), „si sono poste le basi per progetti ancora più ambiziosi; con un futuro allargamento, il Corridoio avrà il potenziale per soddisfare fino al 20% del fabbisogno europeo di gas”. Dati alla mano, le previsioni più ottimistiche ci dicono che l’Azerbaijan potrebbe fornire fino a 16/18 Gmc3 annui attraverso il Corridoio Meridionale (di cui 6 Gmc3 alla Turchia), all’incirca il 2,5% dei consumi dell’Unione europea. Da allora però, a causa delle caratteristiche geologiche che contraddistinguono i giacimenti azeri nel Caspio (a partire da quello principale di Shah Deniz II), il paese è stato costretto ad importare gas naturale dalla Federazione Russa onde soddisfare la domanda interna e, nel contempo, rispettare i contratti di esportazione senza intercorrere nel pagamento di penalties.
In verità, gli USA soprattutto, nel corso della precedente Amministrazione, continuano a perseguire l’obiettivo della riduzione delle forniture russe di gas all’Europa Centro-Occidentale. In un primo momento, hanno creduto di sostituire quest’ultime con lo shale polacco e ucraino – un vero e proprio fallimento – dopodiché, con il loro.
Con quali risultati?
Ad oggi, ciò ha comportato la drammatica riduzione del transito del gas russo – e con esso delle fee – attraverso il territorio dell’Ucraina mentre la Polonia ha iniziato ad integrare il proprio paniere energetico, acquistando anche gas non russo, ma pagandolo un prezzo più alto (come la Lituania). Nonostante gli Stati Uniti abbiano iniziato da tempo ad esportare piccole quantità di LNG verso l’Europa, i costi di trasporto e i prezzi di vendita (il mercato asiatico è ad esempio più profittevole di quello europeo) rendono assai complicato anche solo pensare che il gas naturale russo possa essere rimpiazzato – se non in minima parte – dallo shale gas statunitense (tralascio volutamente i problemi di sostenibilità finanziaria degli impianti di liquefazione negli USA e di rigassificazione in Europa). Per dirla con le parole del Prof. Massimo Nicolazzi, „Considerati i volumi complessivamente in gioco, e le modalità della loro commercializzazione, l’idea che l’americano possa «sostituire» il russo è perciò meno di uno stato d’animo”.
Per di più, è doveroso tenere conto del fatto che le riserve del Nord Europa (scozzesi, norvegesi e olandesi) sono in diminuzione. In particolare, il principale giacimento europeo, quello olandese di Groningen operativo dal lontano 1960, per legge, non può estrarre più di 24 Gmc3 di gas naturale all’anno, in virtù dei fenomeni sismici ad esso riconducibili.
Da ultimo, in merito al versante Nord-Africano, la Libia non può di certo essere considerata un partner affidabile mentre l’Algeria, nonostante le ingenti riserve presenti nel sottosuolo del paese, sta pagando le conseguenze dei mancati investimenti degli anni trascorsi.
Deutsche Wirtschafts Nachrichten: Anche la Cina ha bisogno di gas. Al momento, sta costruendo il gasdotto Altai che collegherà i monti Altai con la Cina. Quali potrebbero essere le conseguenze per le importazioni gasiere degli europei?
Demostenes Floros: Nella mia ultima pubblicazione per WE-World Energy 37 – la rivista trimestrale edita da ENI – presentiamo dei dati molto precisi in merito alle previsioni concernenti il futuro andamento dei consumi cinesi e, più in generale, del Continente asiatico.
Secondo i dati del BP Statistical Review 2017, nel corso del 2016, i consumi di energia primaria globale hanno raggiunto i 13.276,3 Mtep, in crescita dell’1% rispetto all’anno precedente a fronte di un incremento medio annuo dell’1,8% verificatosi nell’arco di tempo 2005/15. La Cina occupa il 1° posto in termini di consumi di energia primaria con 3.053 Mtep, equivalenti al 23% dei consumi mondiali, in aumento dell’1,3% nei confronti del 2015. Tenuto conto che la Cina possiede il 22% circa della popolazione globale e gli USA il 5%, ogni cinese consuma in media poco più di 2,2 tonnellate equivalenti di petrolio (tep) pro capite in un anno, mentre un cittadino americano ne consuma all’incirca 7,0 tep.
Fatta questa debita premessa, la Cina deve urgentemente modificare la composizione del proprio mix energetico, muovendo dal massiccio utilizzo di carbone (61,82%) nella direzione del più „pulito” e meno costoso (anche rispetto al petrolio) gas naturale, ad oggi utilizzato solamente per il 6,2% del proprio paniere energetico. Per ottenere tale obiettivo, a partire da maggio 2014, la Repubblica Popolare Cinese ha firmato insieme alla Federazione Russa due importanti contratti nel settore del gas naturale che verrà trasportato grazie al gasdotto Altai (Rotta Occidentale) e alla pipeline Power of Siberia (Rotta Orientale) – a cui si aggiungono una serie di nuovi accordi in ambito energetico volti al rafforzamento dell’alleanza strategica russo-cinese. Mentre il Power of Siberia si rifornirà dai giacimenti della Siberia Centro-Orientale, l’Altai si approvvigionerà da alcuni dei giacimenti dai cui attualmente ci riforniamo noi europei. Ciò, non esclude che un domani non troppo lontano nel tempo i russi possano „giocare sul prezzo” all’interno di un contesto che qualcuno, ben prima di me, ebbe a definire il „mercato dei due forni”. E’ evidente che questo tema attiene le modalità contrattuali di vendita/acquisto della materia prima in merito alle quali suggerirei ai cosiddetti policy makers (decisori politici) di riflettere approfonditamente prima di gettare a mare i contratti take or pay – indicizzato al petrolio (oil link) e richiesti da noi paesi consumatori diversi decenni or sono e non dai produttori – in favore di quelli spot.
Deutsche Wirtschafts Nachrichten: In Europa, così come in Germania, è molto contestata la costruzione del Nord Stream 2. Secondo Lei, l’industria tedesca potrebbe farne a meno?
Demostenes Floros: La costruzione del Nord Stream II – così come quella del Nord Stream I a dire il vero – è contestata soprattutto, dalla Polonia e dai Paesi Baltici, Stati la cui politica estera non è decisa, né dai loro rispettivi governi, né da Bruxelles bensì, come tutti sanno, oltreoceano.
Di diverso taglio invece, sono le critiche giunte da paesi del Sud Europa, a partire dall’Italia. A onore del vero, alcune di queste valutazioni mi paiono più che legittime soprattutto, se vengono inquadrate nel contesto dell’Eurozona. Personalmente, non nascondo che avrei preferito la costruzione del gasdotto South Stream – solo in minima parte sostituito dal Turkish Stream – più che il raddoppio del Nord Stream, ma le fortissime pressioni USA sulla Bulgaria hanno prevalso.
Detto ciò, la manifattura tedesca che – a differenza di quella italiana e greca ad esempio – è uscita quantitativamente indenne dalla crisi del 2007 e oggi pesa per il 5,9% rispetto a quella mondiale non può assolutamente fare a meno del gas naturale a meno che non intenda riprendere a consumare più carbone e nucleare.
Deutsche Wirtschafts Nachrichten: Tenuto conto di quanto ha appena affermato, che cosa ne pensa della „svolta energetica” tedesca?
Demostenes Floros: Ad oggi, le fonti fossili costituiscono poco meno dell’86% del mix energetico globale (la Germania è attorno all’81%). In un mio studio dal titolo „The revenge of blue gold” pubblicato nel 2015, scrivevo che ancora per i prossimi decenni, petrolio, carbone e gas naturale saranno le principali materie prime preposte al funzionamento delle nostre economie, nonché di un’auspicabile soluzione inerente al tema spinoso delle scorie radioattive. Il gas naturale è senza dubbio una delle risposte – se non la risposta per eccellenza – alla sfida per lo sviluppo sostenibile e la lotta all’inquinamento del pianeta nel 21° secolo. L’oro blu infatti è l’unico combustibile fossile in grado di fare da ponte tra l’era delle fonti fossili e quella delle rinnovabili in virtù delle sue caratteristiche in termini di minor inquinamento, costo, potere calorifico, immagazzinamento e trasporto.
Nel contempo, sarebbe assai infantile da parte mia negare il legame esistente tra gas naturale ed influenza geopolitica. D’altronde, questo concetto era ben chiaro a Vladimir Putin il quale, nel lontano 2003, ebbe a dire: „Il ruolo della Russia nei mercati energetici mondiali determinerà in larga misura la sua influenza geopolitica”.
In conclusione, suggerirei alle elites europee e tedesche di modificare completamente l’approccio al tema e cioè, non solo la Federazione Russa non può essere sostituita da altri fornitori nell’approvvigionamento gasiero, bensì è l’unico polmone sul quale possiamo fare affidamento in termini di reliability (affidabilità nelle forniture e nei prezzi) senza dubbio alcuno. Di fatto, fu così per l’Unione Sovietica nel drammatico contesto della Guerra Fredda anche per l’allora Repubblica Federale Tedesca; lo è stato recentemente e lo sarà anche in futuro per la Federazione Russa, nonostante le tante „rivoluzioni colorate” che le sono state organizzate nel corso dell’ultimo quindicennio guarda caso nelle proprie legittime zone di influenza.
Nel contempo, il secondo polmone dovrà giustamente prevedere una diversificazione dei fornitori di gas che, a mio avviso, sarà però tutt’altro che facile, in attesa di uno sviluppo poderoso quanto urgente, ma tutt’altro che semplice, delle fonti rinnovabili.
Sia chiaro: nessuno però ci assicura che tale transizione avverrà in maniera pacifica, né che la pressione dell’accumulazione capitalistica sul vincolo delle risorse naturali non necessiti di uno stravolgimento delle attuali condizioni di riproduzione dei rapporti sociali.